Scrivono per noi
Un roseo futuro
I vini rosati cominciano a piacere, finalmente, anche in Italia, la cui situazione resta comunque interlocutoria. Quarta in Europa per produzione, il consumo interno nazionale è ancora piuttosto basso, collocato al 4% contro una media mondiale del 10% e di oltre il 30% della sola Francia. Ciononostante, quello del Bel Paese resta un orizzonte roseo date le enormi prospettive spalancate dai gusti delle nuove generazioni, meno sensibili dei cosiddetti boomers alle sovrastrutture di un colore che gli anni '80, soprattutto, hanno relegato solo al gentil sesso. Poco importa che ciò sia accaduto per ragioni di marketing, ovvero quando già durante il boom economico si sentì l'esigenza di assegnare ai generi un colore al fine di indirizzare - e propiziare - gli acquisti. È stato così che il colore rosa, nel vino, ha avuto scarsa fortuna, dimentico anche del fatto che fino agli anni Trenta fosse il blu il colore del femminino, "sacro" e non, associato com'era al colore del velo della Vergine Maria. Ma il marketing ebbe la meglio e fu così che il rosa, soprattutto nel vino, sarà foriero di un immaginario frivolo e mondano, da vivere solo "a bordo piscina". Chi lo conosce e lo apprezza, del resto, sa che, come il vino rosso e come il bianco, anche il vino rosa - e non "rosato" che è il participio passato di un verbo che, semplicemente, non esiste - è adatto tutto l’anno e molto di più se consideriamo la sua perfetta capacità di conciliare la struttura e la profondità di un rosso con la levità e la disinvoltura del bianco. E a maggior ragione dato che si tratta di una tipologia assai difficile da produrre: occorrono infatti tanta esperienza quanta precisa cognizione, nonché vitigni che sappiano veicolare le peculiarità del territorio senza uniformarsi al modello franco-provenzale. Per non parlare, poi, delle pratiche di cantina - pressatura diretta; macerazione sulle bucce (per 12 ore, quella dei cosiddetti "vini di una notte", oppure i "vini di un giorno") e ancora eventuale salasso, ovvero il prelievo di una parte del mosto di uve rosse dalla vasca di macerazione. Ebbene ciascuna di queste scelte, ciascuna con le sue conseguenze, determinerà molto se non tutto del vino che si vorrà ottenere, e futuro consumatore. Una prassi in cui i francesi, ancora una volta, hanno fatto sia meglio che prima, ma che si sta affinando con una certa credibilità anche in Italia, presso territori finalmente considerati vocati come Chiaretto di Bardolino, Valtenesi, Cerasuolo d’Abruzzo, Salice Salentino, Castel del Monte e Cirò. Tra gli altri.