Nuovi Trend di Mercato

Vitigni internazionali? Non chiamateli più alloctoni

Siamo davanti a vitigni con l’incontrovertibile caratteristica di versatilità, tutti coltivati e prodotti in ogni angolo di qualsiasi emisfero. Ad oggi, offrono un contributo significativo e a dir poco sorprendente. Quindi, non chiamateli più alloctoni!

I vitigni internazionali hanno rappresentato un baluardo significativo nella storia della vino e difeso uno dei valori più importanti della storia agraria italiana: la viticoltura di qualità, quella più rappresentativa, stendardo di italianità o, come più diffusamente si dice del ‘made in Italy’. L’Ottocento del vino ci insegna che, proprio grazie a questi ceppi venne restituita la dignità della viticoltura nazionale, rinvigorendo i viticoltori che, ancor più, hanno rafforzato il sentimento di identità e di appartenenza. Sono vitigni a bacca rossa come il merlot, il cabernet franc, il cabernet sauvignon, il pinot noir, il syrah, e per i bianchi, invece, chardonnay, sauvignon, pinot bianco, pinot grigio e riesling. Ma non solo.

E dalla culla della lingua italiana, arrivano i Super Tuscan che ne sono un valido esempio. Siamo innanzi ad una nuova narrativa che mette al centro protagonisti dal profilo internazionale, predisposti a tecniche di vinificazione innovative e a produzioni a dir poco rivoluzionarie, messe in opera da vignerons decisamente visionarie. E dunque: anni Sessanta Ventesimo secolo, Toscana, e produttori locali. Tempo, luogo e personaggi individuati. Inaspettatamente una storia già scritta, per la viticoltura italiana, cambia la trama del Chianti Classico, e con il corpo del testo, parlando simbolicamente, anche i vitigni, le tecniche produttive, gli areali di coltivazione e le rese. L’obiettivo, difatti, era di ottenere un vino diverso, rinunciando alla DOC esistente, che metteva a sistema un sistema dipendente di nodi e regolamentazione, per varietà di uve e tipologia di affinamenti. Ad essere precisi si puntò senza indugio a quelli che sono riconosciuti come “vini da tavola”. Ma dove era indirizzata la prospettiva dell’occhio? Perfezionare ogni fase della lavorazione e mirare all’eccellenza ma senza etichette. Un azzardo che è stato un successo super, o meglio, Super Tuscan, come definì la stampa di settore inglese. A firmare questa impresa, sono stati Enzo Morganti, direttore tecnico della Tenuta San Felice, e Giulio Gambelli, enologo di Poggibonsi, che follemente, oggi pienamente smentiti, decisero di vinificare un Sangiovese in purezza senza ricorrere a uve a bacca bianca, obbligatorie per la DOC Chianti Classico dell’epoca. Questa la storia, bella, che dire, bellissima del Vigorello, che da semplice vino da tavola è diventato di fama internazionale, come i protagonisti di questa vicenda. E grazie ai vari accorgimenti in cantina, il Vigorello si sta evolvendo, mostrando una cifra  stilistica di un purosangue con un blend di sangiovese in purezza e in percentuali minori di pugnitello, merlot, cabernet sauvignon e petit verdot. Chiusura di un capolavoro da applausi con affinamento in barrique di rovere francese.

E poi, quasi contemporaneamente, fu la volta del Sassicaia.  Autore, questa volta, di questo capolavoro fu Mario Incisa della Rocchetta, membro di una nobile famiglia romana, lavorava a Bolgheri con la moglie per dare vita ad un’etichetta da fare invidia ai Bordeaux francesi. la prima sperimentazione fu con il pinot nero. poi si passò ai cabernet sauvignon e cabernet franc piantato nel 1944. Et voilà, per fare il verso agli andati Galli, il Sassicaia. In principio, fu un vino da tavola ma a dare la giusta forma a questa materia fu Giacomo Tachis, segnato per innato talento da Pietro Antinori. Il resto è storia, per davvero.

E sempre sulla scia di questi giganti viticoli, arrivarono anche Tignanello, Solaia, Ornellaia e Masseto. Tutti di casa Antinori. In rassegna, perché val la pena almeno citarli, nel 1970, il Tignanello, il primo Super Tuscan a base di Sangiovese in purezza, e nel 1978, il Solaia, un assemblaggio di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Poi, la Tenuta dell’Ornellaia, di proprietà di Incisa della Rocchetta e dal 2005 di Frescobaldi. Fu nel 1987, la volta del Masseto, da uve Merlot in purezza e prodotto su un vigneto di 7 ettari di argille blu, suolo che ricorda i vigneti di Pomerol.

Una lista che continua ad ampliarsi. Viene più da chiamarli, dunque, alloctoni?