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Drappier

Tratto da: La Madia Travelfood Novembre/Dicembre 2021 - N. 352 - pag. 70-76

 

Una Maison che ha fatto delle innovazioni e dell’interpretazione del terroir (inteso come rispetto della storia, del suolo, dell’ambiente e delle varietà locali) la sua forza trainante, nonché la propria cifra stilistica, in una zona in cui solo recentemente si sono accesi i riflettori e dove si stanno ottenendo traguardi e apprezzamenti impensabili fino a qualche lustro fa. Alla famiglia Drappier va il merito di avere avuto a cuore, sin dall’inizio, questa fetta della Champagne così lontana, atipica, in passato snobbata e sottovalutata dal pubblico e dalla critica più severa, ma che oggi sappiamo essere autentica, creativa, dai mille colori, finanche po’ naïf: l’Aube. La famiglia Drappier affonda le sue radici a Reims nel XVII secolo con la nascita di Rémy Drappier nel 1604 che, come Nicolas Ruinart e tanti altri uomini in città, diviene mercante di stoffe. E’ solo nel 1808 che uno degli antenati della Maison, François, si stabilisce a Urville, nella regione dell’Aube, e inizia a gestire un vigneto di pochi ettari, mentre è negli anni Trenta che Georges Collot, nonno materno di Michel Drappier, decide, coraggiosamente, di reimpiantare il Pinot Noir in quest’area. Un vitigno difficile, capriccioso, che richiede grande dedizione e pazienza. La scelta fa sorridere i più scettici che, per anni, gli affibbieranno sardonicamente il soprannome di “Pére Pinot”. Dovranno presto ricredersi: questa varietà rappresenta oggi quasi l’85% dei vigneti di tutta l’Aube e dell’intera superficie della regione. Un’enormità.

La scelta del Pinot Noir

Quando si chiede a Michel il perché della scelta di coltivare Pinot Noir su suoli, teoricamente, da Chardonnay (il Kimmeridgiano è lo stesso identico suolo che si trova in Chablis), lui risponde così: “Semplice! Noi aubesoise non volevamo fare uno Chablis con le bollicine”. Le ragioni, a ben guardare, potrebbero essere anche altre: l’Aube, dopo che venne incorporata nella denominazione Champagne nel 1927, fu in qualche modo subordinata alle direttive della Marne che era molto forte e imponeva a questo distretto la coltivazione di Pinot Noir, uva preziosa per le cuvée dei Grandes Marques; certo è interessante rilevare come il Pinot Noir di questa regione riesca ad assumere caratteristiche e sfumature uniche, oltre che estremamente affascinanti, forse proprio grazie al kimmeridgiano. Insomma; lungimirante il Sig, Collot! Ma non è finita. Dopo la storica gelata del 1957, il marito di Micheline (e genero di Georges Collot), André Drappier, decide di introdurre anche il Meunier, varietà resistente alle gelate e quindi coltivata soprattutto nella Vallée de la Marne, dove l’umidità e il freddo del fiume metterebbero a rischio le altre, più delicate (varietà che, a onor del vero, troviamo poco in Aube, non essendoci qui le condizioni ideali). André, infine, mantiene anche il Pinot Blanc, oggi tornato alla ribalta grazie a qualche virtuoso viticoltore aubesoise che è riuscito a farne delle ottime espressioni in purezza.

I vitigni minori

Negli ultimi 20 anni, è stato invece Michel a introdurre gli altri vitigni ‘minori’ di recente riscoperta, come Arbanne, Petit Meslier e Pinot Gris rendendo Drappier una delle poche Maison che coltiva tutte le sette varietà. Michel Drappier, entra in campo nel 1979 divenendo responsabile della vinificazione, (mentre il padre continua a sorvegliare i vigneti) e a lui va il merito di avere ampliato un patrimonio vitato che vanta oggi 62 ettari di proprietà, una cinquantina in affitto e ulteriori 30 ettari come uve conferite nella Montagne de Reims e nella Cöte des Blancs. Ma soprattutto, è sua la svolta in direzione di un approccio più rispettoso dell’ambiente e del terroir, in un periodo in cui la consapevolezza di avere per le mani un patrimonio unico ed inestimabile cresce in Champagne insieme alla vergogna per gli scempi commessi in nome dei numeri e della produzione scellerata.

A cavallo del biologico

Michel ritorna, così, al passato: nel 2000 sperimenta l'eliminazione degli erbicidi, successivamente elimina la chimica, infine, inizia a coltivare in regime biologico, fino all’ottenimento della certificazione di “Agriculture Biologique”. Reintroduce, inoltre, l'aratura a cavallo e lo appoggia in questo percorso il figlio Hugo, che ha da poco terminato gli studi di enologia presso la famosa scuola di Changins, in Svizzera, e che è particolarmente interessato all’agricoltura biologica e biodinamica. Michel, invece, ha studiato enologia in Borgogna, dove ha acquisito il suo approccio per una vinificazione poco interventista. decidendo di lavorare esclusivamente per gravità ed evitando contatti con l'ossigeno in modo da abbattere l'uso dei solfiti. Le fermentazioni avvengono in acciaio, l'elevage in legno (botti ovali e barrique, ma pure il singolare ‘uovo’) e la malolattica è sempre svolta; i vini non sono mai filtrati. A monte, la pressa è quella a piatto inclinato, il débourbage naturale e la taille sempre venduta. Molto particolari i vini per la liqueur, inizialmente conservati in tini tronco-conici di legno e successivamente in damigiane, per più di 15 anni.

Le suggestive cantine

Altro aspetto singolare per una maison da 1.500.000 di bottiglie l'anno: circa il 40% delle bottiglie è 'remuato' a mano, in particolare quelle maturate nelle splendide cantine sotterranee sotto la sede di Urville, costruita sopra i resti dell'Abbazia di Clairvaux (XIl secolo). Interessante sottolineare anche l'altra unicità di Drappier: la produzione dei grandi formati, tutti con rifermentazione diretta, quindi senza transvasage, fino al gigantesco Melchisedech da 30 litri, prodotto solo da Drappier con l'etichetta Carte d’Or in circa 12 pezzi l'anno. Drappier, infine, possiede dal 1988 alcune profonde cantine a Reims, scavate nel gesso ai tempi di Napoleone III, dove oggi riposa sui lieviti il 60% della produzione.

Il mare e la cenere

La Maison si cimenta perfino con alcune loro cuvée immerse a 15 metri di profondità nel mare della Bretagna, come il Grande Sendrée, uno champagne che trae il suo nome da un appezzamento di terreno ridotto in cenere in seguito a un incendio che devastò il villaggio di Urville, nel 1838. Fu proprio un errore di ortografia nel ricopiare i dati del catasto che ha trasformato Cendrée (incenerito) in Sendrée che oggi dona il nome alla Cuvée. Uno champagne che propone all’olfatto affascinanti note di nocciola, funghi champignon, camino spento, cenere e che in bocca è succoso, pieno ed avvolgente, intrigante per profondità e austerità, oltre che per eleganza.

I sogni dell’ottava generazione

Da qualche anno è attivamente in campo l'ottava generazione della famiglia, i figli di Michel, Charline, Hugo e Antoine. Charline subentra gradualmente nella commercializzazione, il fratello Hugo, come abbiamo visto, si occupa di viticoltura ed enologia a fianco del padre, mentre Antoine, appassionato di animali e natura, con il suo cavallo da tiro coltiva in modo biologico una parte dei vigneti. Orto, vecchi frutteti e pollaio fanno attualmente parte delle attività complementari della Maison Drappier. I Drappier non hanno mai smesso di sognare, sperimentare, sia con la coltivazione di vitigni dimenticati in champagne che oggi troviamo in cuvée di stampo moderno come il loro Quattuor o nel Clarevallis, sia nell’approccio biologico. Una famiglia sensibile alla necessità di una viticoltura sostenibile, intelligente e che nello spasmodico tentativo di tentare strade nuove e interpretazioni più personali, maggiormente adese alla propria zona e ai vitigni d’origine, è riuscita a produrre champagne autentici, succosi e puri ma che sanno essere anche complessi, profondi, evoluti.

Champagne sans soufre

È in questa direzione che troviamo il loro continuo sforzo per un utilizzo sempre meno importante della solforosa, al punto di non utilizzarla in assoluto, come nel loro Sans Soufre. Proprio Michel, tempo fa, mi spiegò come questa cuvée senza solfiti e senza dosaggio aggiunto lo avesse stupito: al contrario delle loro previsioni, reggeva il tempo benissimo, a dimostrazione che non sempre i vini senza aggiunta di solforosa sono più soggetti ad ossidazione di altri. I profumi non si fanno pregare, è un tripudio di minuzie calde e autunnali, dalla crostata di frutti di bosco alla mela cotogna,fino ai ricordi di rovo, ruscello, pietra. Sono profumi nitidi, vitali, che non lasciano trapelare il minimo cenno di un’evoluzione eccessiva e dalla proiezione gustativa netta, lucidissima, salina e scalpitante, con un plus di contrasto fruttato/salmastro a rimarcare il suo territorio. Uno champagne, oltre che buonissimo, sincero. Come nel prezzo.

La produzione

Gli Champagne Drappier erano i preferiti da Charles de Gaulle, Generale e primo Presidente della quinta Repubblica Francese, a cui la Maison ha dedicato una specifica cuvée. Imperdibile. Come il loro Quattour, un Blanc de blancs davvero unico considerate le antiche varietà che affiancano nell’assemblaggio il classico Chardonnay: Arbanne, Petit Meslier e Blanc vrai. Un vino che deve la sua raffinatezza alle intriganti note di pepe bianco date dall’Arbanne e ai riverberi di fiori bianchi, erbe fini, roccia. Clarevallis, infine, è la loro ultima creazione, fortemente voluta dalla nuova generazione, Charline, Hugo e Antoine; un omaggio a San Bernardo da Chiaravalle, il monaco che fondò l’abbazia cistercense dove ha sede oggi la Maison. Uno champagne che ha il pregio della luminosità e la capacità di conciliare, in una classe senza pari, ossatura minerale, florealità, freschezza e definizione varietale, lasciando palpitare al palato le migliori risorse sapido-marine del Kimmeridgiano. Infine, il Carte d’Or, con la sua riconoscibile etichetta gialla che evoca la gelatina di mele cotogne, un frutto giallo di cui ritroviamo le note aromatiche in ogni bottiglia e che fu creato da André e Micheline nel 1952. Icona assoluta in Aube, è uno champagne gustoso, succoso, estremamente iodato e gioioso: in sintesi, la quintessenza della Maison Drappier.

 

Vania Valentini