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Champagne Diebolt-Vallois
Tratto da: La Madia Travelfood Novembre/Dicembre 2021 - N. 352 - pag. 62-69
Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo su Diebolt-Vallois ho accettato di buon grado senza tentennamenti. Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, ho conosciuto talmente bene questa famiglia da apprezzare moltissimo quello che fa, tanto che la ritengo tra i migliori nomi della Champagne tutta. Poi siamo anche diventati amici, ma questo è un aspetto personale che ho sempre cercato di tenere separato dalla mia opera di critico ed è per questo che, quando qualche champagne uscito dalla cantina di Cramant non mi ha convinto, l’ho detto chiaramente, anche agli stessi Diebolt, mentre non ho avuto timore a sottolineare l’eccellenza di altre loro cuvée, cosa che, fortunatamente, capita piuttosto frequentemente. Diebolt-Vallois è il prototipo del vigneron, con una storia che affonda le radici nella coltivazione della vigna da generazioni, anche conto terzi, e sono diventati produttori in tutto e per tutto, ovvero dal punto di vista commerciale (ogni famiglia ha sempre prodotto per tradizione champagne per il consumo personale), soltanto quando la Champagne, a partire dal 1970, ha iniziato la sua ascesa travolgente sul mercato. Prima, come ricorda lo stesso Jacques Diebolt, “fino agli anni ‘50 i vigneron morivano di fame” e la maggior parte di essi sopravviveva soltanto grazie all’agricoltura promiscua.
Chi è Diebolt-Vallois
Ciò premesso, andiamoli a conoscere da vicino, questi Diebolt. Innanzitutto, siamo a Cramant, villaggio Grand Cru della parte nord della Côte des Blancs. Anzi, Cramant è uno dei villaggi d’eccezione del prezioso Chardonnay e contende storicamente ad Avize il titolo di ‘migliore’, qualora questo titolo si possa effettivamente conferire. Qui Jacques Diebolt e sua moglie Nada Vallois hanno creato Champagne Diebolt-Vallois nel 1978, diciotto anni dopo il loro matrimonio. Detta così potrebbe sembrare una realtà fin troppo giovane, invece bisogna considerare che entrambi sono gli eredi di due antichissime famiglie champenoise di vigneron, una legata a Cramant dal XIX secolo (Diebolt), l’altra a Cuis addirittura dal XV (Vallois). Nel dettaglio, Jacques ha appreso la migliore ‘art champenois’ dal nonno e, al ritorno dalla guerra di Algeria, è stato lui ad aver piantato le vigne di un’importantissima maison tra Cuis e i Côteaux sud d’Epernay. A proposito della guerra d’Algeria: il nonno di Jacques, in previsione della partenza del nipote, nella tarda primavera del 1954, assemblò uno champagne fatto con sole uve di Cramant della vendemmia 1953, fermentato in ‘pièce’ senza malolattica: avrebbe aperto la prima bottiglia solo al ritorno del nipote dalla guerra. Di quelle bottiglie, Jacques ne conserva ancora alcune ‘sur pointe’, una me l’ha degorgiata ‘à la volée’ a fine luglio 2020: beh, a parte la vitalità, la freschezza, la struttura di quello champagne, posso dire che è uno dei pochissimi champagne che non dimenticherò mai. Un capolavoro. Non a caso, quello champagne ha ispirato Jacques, anni più tardi, nella creazione del Fleur de Passion, lo champagne di punta di Diebolt-Vallois. Ma lo vedremo meglio più avanti. Oggi la maison è guidata dai figli della coppia, con Arnaud nel ruolo di chef de cave e Isabelle come una sorta di coordinatrice generale e addetta alle visite, ma sono già in sella le figlie di Arnaud, Ophélie a seguire le orme paterne e Philippine quelle della zia. Ciò nonostante, Jacques lo troverete ogni giorno ad aggirarsi per la cantina e a sorvegliare il lavoro in vigna durante la vendemmia, mentre insieme a sua moglie Nadia partecipa rigorosamente a ogni sessione di degustazione sia per decidere l’assemblaggio di ogni champagne, sia per stabilire i dosaggi.
Dalla vigna alla bottiglia
Il patrimonio vitato di Diebolt-Vallois ammonta a quasi 14 ettari, quasi tutti nei villaggi Grand Cru della Côte des Blancs di Cramant, Chouilly e Le-Mesnil, oltre a Cuis (Premier Cru) ed Epernay, seppure, in quest’ultimo caso, al confine con Chouilly (le loro vigne distano dai confini di quest’ultimo villaggio soltanto 20 metri!), più alcune piccole vigne nella Petite Montagne de Reims (Vallée de l’Ardre). I vigneti sono per il 95% piantati a Chardonnay (il resto è a Pinot Noir più qualche filare di Meunier) e condotti in maniera ‘ragionata’, con inerbimento dei filari. L’età media delle piante è di 35 anni, ma alcune parcelle di Cramant superano i 60 anni. Qualcuno potrebbe chiedersi perché non siano ‘bio’ o simili e, in effetti, la stessa cosa la chiesi tempo fa a Jacques. Ecco cosa mi rispose: “Noi siamo organici da anni e anni, quando la maggior parte degli champenois neanche sapeva cosa significasse, e ancora oggi siamo così, che poi altro non è che fare la stessa cosa che facevano i nostri nonni. Per questo motivo, è un tipo di viticoltura che facciamo per noi stessi, per le nostre vigne, non per slogan o certificazioni. Tuttavia, sulle parcelle con più del 30% di pendenza siamo costretti a fare qualche trattamento, perché lì il lavoro del suolo sarebbe impossibile...”. Più chiaro, trasparente e onesto di così! L’obiettivo, comunque, è di spingere in profondità le radici delle piante, per ‘estrarre’ dalla craie il carattere minerale. Il percorso di ogni champagne Diebolt-Vallois inizia in vigna, durante la vendemmia. Isabelle coordina le squadre di vendemmiatori (vengono dalla Polonia, sono da anni sempre gli stessi e sono pagati all’ora, non al chilo come fa qualcuno); di tanto in tanto, Jacques si fa vedere, scambia due parole con la figlia, controlla le uve nelle cassette, pronte per il pressoir. In quest’ultimo, a sorvegliare le due presse - una tradizionale da 4.000 Kg e una pneumatica da 8.000, che effettuano non meno di tre cicli al giorno ciascuna - c’è Ophélie, mentre suo padre è in cantina ad attendere i mosti. Parcella per parcella, al fine di far esprimere ogni singolo micro-territorio, i mosti sono fermentati in piccole cuve di acciaio a bassa temperatura (17,5°C precisi) e, a seguire, la malolattica è sempre svolta. Unica eccezione, i mosti delle parcelle più vecchie di Cramant, destinati al Fleur de Passion, che non solo non svolgono mai la malolattica, ma sono anche vinificati in barrique. Ophélie sta sperimentando dei demi-muid nuovi (i nostri tonneaux, da 600 litri), ma i risultati sono ancora tenuti segreti. Un novo champagne? Vedremo… Sempre a proposito di legno, in cantina svettano tre grandi foudres (botti) da 80 hl riservate ai vini di riserva del Prestige. Durante l’anno Arnaud e Ophélie assaggiano periodicamente i vini per verificarne l’evoluzione e farsi una prima idea non solo dell’annata, ma anche al fine di dare un probabile indirizzo a ciascuna cuve (non millesimato, Prestige, eventuale Millésime, ecc). A queste degustazioni non è raro vedere Jacques, che, come avrete capito, non riesce proprio a ritirarsi a 84 anni suonati. In primavera, è la stessa Ophélie a preparare i preassemblaggi: sarà poi tutta la famiglia ad assaggiare e decidere di concerto quale sarà la combinazione che darà ancora una volta vita a questa e quell’altra etichetta. In effetti, si cerca di rispettare le proporzioni che caratterizzano tradizionalmente ogni champagne, ma, allo stesso tempo, si cerca di rispettare anche l’annata, o meglio di trovare nuovi, migliori equilibri a seconda dei vini dell’annata. Segue il classico tiraggio con tappo a corona (capsule) e poi le bottiglie vanno a riposare nelle cantine sotterranee, dove restano da un minimo di 26-30 mesi a una decina di anni, senza contare, ovviamente, le bottiglie storiche, la collezione della maison, conservate ‘sur pointe’ per decenni. Anche la scelta del dosaggio di ciascuno champagne è un momento che vede riunita tutta la famiglia e per la liqueur, come accade oramai con il 99% dei vigneron, e per MCR (Mosto Concentrato Rettificato), a detta di chi lo impiega molto neutro nei confronti del vino, al riparo da rischi di ossidazione e molto più rapido a integrarsi con lo champagne rispetto alla liqueur tradizionale. La produzione di Diebolt-Vallois, infine, si attesta intorno alle 150.000 bottiglie annue, una quantità resa possibile dall’acquisto di uve pari a circa il 25% del fabbisogno. Questo rende Diebolt-Vallois un NM (négociant-manipulant) dal punto di vista tecnico, però possiamo considerare i Diebolt dei vigneron in tutto e per tutto, perché questo acquisto avviene unicamente da parenti di Cramant e due da cari amici di Le-Mesnil.
Il regno dello Chardonnay
La gamma Diebolt-Vallois comprende 6 champagne e basta. Quindi, la famiglia è stata brava a resistere alle attuali mode imperanti in Champagne di fare Ratafia o Coteaux Champenois. L’etichetta di ingresso è il Tradition, classico ‘brut sans année’ fatto con tutte e tre le varietà di uve (sebbene lo Chardonnay sia comunque maggioritario) di territori non possiamo dire meno pregiati, ma meno classici rispetto alla collocazione della famiglia e alla sua tradizione, quindi la Petite Montagne de Reims ed Epernay. A mio avviso è lo champagne che rappresenta meno i Diebolt e il loro stile, ma se lo fanno è evidente che una richiesta c’è... Maggiormente degno di nota secondo chi scrive, anzi quasi sorprendente, il Rosé: due terzi di Pinot, di cui il 10-12% come vino rosso, e il resto Chardonnay. A differenza di molti altri produttori, non si tratta del non millesimato (quindi né il Tradition, né, men che meno, il Blanc de Blancs) aggiunto di vino rosso, ma di un assemblaggio completamente diverso e appositamente creato, nel quale il vino rosso viene da un’enclave prestigiosa come Bouzy. Non matura a lungo sui lieviti (poco più di due anni per esaltare la freschezza) e da qualche tempo ha subìto una drastica riduzione di dosaggio, diventando extra-brut. È il rosé che non ti aspetti, men che meno da un vigneron della Côte des Blancs, teso e secco com’è, mai sdolcinato. Forse un po’ da appassionati, ma ben venga il coraggio di staccarsi da quell’idea di rosé iper-fruttati! Dopo queste due divagazioni, entriamo nel vero DNA dei Diebolt, lo Chardonnay, quindi gli champagne cosiddetti blanc de blancs. Il classico non millesimato, quindi il biglietto da visita del produttore, si chiama semplicemente Blanc de Blancs ed è prodotto in ben 60.000 bottiglie annue. È fatto principalmente con uve di Cuis e la zone di Epernay che confina con Chouilly, oltre a una parte della stessa Chouilly (Grand Cru), secondo lo schema di due annate in proporzione due terzi/un terzo. Anche in questo caso, la freschezza e l’accessibilità sono esaltate per mezzo di una sosta sui lieviti non troppo lunga (un paio d’anni), e recentemente il dosaggio è stato drasticamente ridotto, passando da brut a extra-brut. Questa rivisitazione ha letteralmente messo le ali allo champagne, ora di una bevibilità travolgente che non scade mai nella banalità. Uno champagne di piacere per tutti, insomma, appassionati e non.Un gradino sopra si colloca il Prestige, che non è corretto definire il sans année alto di gamma, ma è il grande champagne dei Diebolt, fatto non semplicemente di sole uve Grand Cru (Cramant per la cremosità, Chouilly per la rotondità e Le-Mesnil per la tensione e la freschezza), ma soprattutto da territori di craie. Anche questo champagne si è profondamente evoluto negli ultimi anni, tanto sul fronte dosaggio (anch’esso è diventato extra-brut), quanto nello schema. In passato, era un assemblaggio di tre annate conservate in botte, ora (dal tiraggio del 2015) questo assemblaggio s’è fatto molto più sofisticato: 85% dei vini sono in acciaio su tre annate (50% l’ultima vendemmia, 25% la precedente e 10% quella di due anni prima), il 15% che resta proviene, come tradizione, dai vini in botte, ma come réserve perpétuelle iniziata nel 2009. Perché questa rivoluzione? Secondo i Diebolt, lo champagne 100% botte era troppo legnoso, allora hanno voluto ridurre questa sensazione, aumentando, però, al tempo stesso la complessità. Che dire? La ‘vecchia’ versione era veramente eccezionale e il legno la aiutava a essere pronta rapidamente, quindi era già molto godibile quando arrivata sul mercato, 6-8 mesi dopo il dégorgement. Ora, l’evoluzione ha reso senza dubbio il vino più profondo e sofisticato, però è diventato un vino da godere in prospettiva. Insomma, il grande champagne dei Diebolt si riconferma tale, ma sotto prospettive diverse. A seguire, troviamo quello che è forse lo champagne meno conosciuto della maison (ma è proprio questa tipologia di champagne a essere tale, al punto da rappresentare soltanto l’1% del mercato), il Millésime. In estrema sintesi, potremmo definirlo il Blanc de Blancs, ma con le uve di una sola vendemmia, visto che spesso ne ricalca la composizione dei villaggi. Almeno è così fino al 2013 (ora sul mercato), perché posso anticipare che il prossimo 2015 (non ci sarà un 2014…) non avrà la piccola parte di Côteaux Sud d’Epernay, ma sarà 100% Côte des Blancs (Cuis e Chouilly). È uno champagne che riflette molto l’annata (e non è così scontato come si possa pensare…), così abbiamo avuto un discreto 2010, un 2011 che non lascerà il segno, due eccellenti 2012 e 2013, mentre per il 2015 rimando all’anteprima nella prossima edizione della guida Grandi Champagne, che esce proprio a dicembre di quest’anno. Botto finale con la cuvée de prestige di Diebolt Vallois, il Fleur de Passion. Lo champagne è la riproposizione secondo Jacques del ‘famoso’ 1953 fatto dal nonno: a metà anni ‘80, fece assaggiare lo champagne a due celebri sommelier francesi. Entrambi rimasero colpiti da quello champagne (ci credo!) e domandarono a Jacques perché non lo replicasse. Pari pari: stesse vigne e stessa metodologia produttiva. Ciò avvenne nel 1989: le sole parcelle più vecchie (60-70 anni) di proprietà a Cramant, le stesse del nonno (‘Les Pimonts’, ‘Les Buzons’, ‘Gros Monts’, ‘Gouttes d’Or’, ‘Rouillées’ e ‘Les Fourches’), con i mosti poi fermentati in barrique senza malolattica e lunghissima maturazione sui lieviti. Ancora oggi è così, con le barrique di almeno terzo passaggio acquistate in Borgogna, una decina d’anni sui lieviti e dosaggio molto basso, tra i 2 e i 4 g/l. Purtroppo, la produzione è stata ridotta negli ultimi anni e quando Jacques mi ha spiegato il perché sono rimasto da un lato esterrefatto, dall’altro profondamente rattristato: “Sai - mi disse - i giovani non sono disposti a pagare un centinaio di euro per uno champagne di un vigneron. Quando vogliono una cuvée de prestige sono pronti a spendere solo per alcuni marchi”. Peggio per loro, mi vien da dire, non sanno quello che si perdono, ma sta di fatto che la produzione è passata da 15.000 a 7.000 bottiglie. Fortunatamente, annate come la 2007, la 2008 e la 2010 hanno risvegliato l’interesse per questo champagne e la produzione futura sta già risalendo, per attestarsi intorno alle 9.000 bottiglie con le prossime annate. Meno male. Attualmente sul mercato c’è un altro Fleur de Passion eccezionale, il 2012, mentre il 2013 che potrebbe essere addirittura meglio (anche questo presentato in anteprima assoluta nella prossima edizione della guida Grandi Champagne) è atteso per l’anno prossimo. Secondo Jacques, i migliori fatti finora sono il 1996 e il 2008, però bisogna sempre tener presente che si tratta di uno champagne per il quale il lungo invecchiamento è imperativo. Serve pazienza per apprezzarlo al meglio. D’altronde, lo stesso Jacques dice “plus tard le boirez, meilleur il sera”, perché la ricca materia e il non svolgere la malolattica hanno bisogno di tempo per armonizzarsi. È sempre molto difficile stilare classifiche, ma il Fleur de Passion entra a buon diritto tra i grandi champagne, non soltanto de vigneron, ma in assoluto! Provare per credere…
Alberto Lupetti